Le conseguenze dell’operazione di salvataggio di Banca Etruria, Banca Marche, Cassa di Risparmio di Ferra e Cassa di Risparmio di Chieti sulle lavoratrici e sui lavoratori devono indurre ad una profonda riflessione e rivisitazione dell’attività di gestione del credito in Italia, in cui è necessario e non rinviabile affrontare temi come l’etica nella vendita dei prodotti, le pressioni commerciali e la costituzione un modello di banca orientato allo sviluppo sostenibile, contrario a logiche speculative e di profitto a breve termine.
Questo perché, come sempre, sono i dipendenti delle banche quelli a maggior rischio.
Ad esempio, il Governo si è impegnato nel rimborsare, in parte, i piccoli risparmiatori coinvolti nel tracollo dei quattro istituti di credito, condizionando questo rimborso alla presenza del requisito della truffa nei loro confronti. Nelle parole del Ministro Padoan, sarà fatta giustizia, andando ad accertare le singole dirette e specifiche responsabilità individuali.
Ma se il risparmiatore da risarcire è solo quello ingannato e truffato dal personale delle banche, allora le responsabilità che si cercano sono in capo ai bancari non ai banchieri.
In questa prospettiva, sono gli impiegati delle banche, quelli addetti alla vendita (non i vertici) i consulenti che possono aver tratto in inganno i risparmiatori. Che possono non averli informati adeguatamente sui rischi del prodotto. Che possono aver violato gli obblighi di informazione diligenza correttezza e trasparenza.
D’altro canto la responsabilità penale è personale per tutti i reati. Quindi anche per la truffa o la frode o le altre violazioni che dovranno essere accertate per consentire ai piccoli risparmiatori di essere risarciti.
Di nuovo una guerra tra poveri che salva automaticamente i vertici: non sono loro che parlavano con i clienti; non sono loro che potevano metterli in guardia.
Se il risparmiatore vuole essere risarcito allora dovrà dimostrare che è stato ingannato. E l’inganno in questo caso è reato. E dell’inganno può essere direttamente e personalmente responsabile solo l’impiegato che ha parlato con il cliente. Quello che non lo ha informato in modo chiaro dei rischi del prodotto. Quello che gli ha indotto un bisogno di investimento inadeguato. Quello che anche se non ci guadagnava niente per sé (perché questo non è decisivo affinché sussista reato) ha generato ingiusto pregiudizio a danno del cliente e indebito vantaggio per altri.
In questo scenario, è inammissibile che top manager e consiglieri di amministrazione responsabili di dissesti societari, continuino a percepire laute prebende e siano immuni dai problemi causati e siano in grado di riciclarsi in altri istituti, come invece avviene secondo una prassi consolidata e del tutto deprecabile.